Può succedere che una cooperativa sociale di tipo B si prenda la briga di partecipare in prima persona allo sviluppo di un’impresa nella lontanissima Africa? Il Giardinone, cooperativa che opera a Locate e nell’area a Sud di Milano, si è impegnata in una sua propria ”campagna d’Africa” che presenta mercoledì 15 alle ore 19 (alla Cordata) in via Zumbini 6 a Milano .
Ma cosa comporta una scelta come questa che sembra fare a pugni con una serie di valori indiscutibili della cooperazione sociale? Evidentemente investire in Senegal e in altre parti del mondo implica uscire dalla vocazione territoriale, entrare in una logica di investimento, fare i conti con concetti lontani anni luce dalla cultura imprenditoriale del terzo settore. Eppure al Giardinone pensano che si possa fare cooperazione sociale entrando nel merito di concetti che di solito vengono delegati in toto all’impresa (“for profit” come poi si aggiunge nel linguaggio del terzo settore). La gestione degli inserimenti lavorativi può andare d’accordo con produttività, l’attenzione ai bisogni della persona svantaggiata può conciliarsi con la valutazione dei processi organizzativi, la definizione dei ruoli e, soprattutto, una solida spinta imprenditoriale possono avere come esito lo sviluppo dell’impresa sociale in altre parti del mondo.
Per saperne di più vi invitiamo ad ascoltare dal vivo i protagonisti di questa scelta. E a dire la vostra sul nostro blog.
Buoni propositi per il 2012: una proposta per il terzo settore
Posted in Commenti, Uncategorized, tagged conciliazione, Flaviano Zandonai, Impresa sociale, Ivana Pais, mobilità dirigenti, organizzazione on 29 dicembre 2011| Leave a Comment »
Flaviano Zandonai ha commentato sul blog del Corriere della Sera un post di Ivana Pais sui “social trend” che stanno cambiando lavoro e organizzazioni http://faiunsalto.wordpress.com/2011/12/28/social-trend-e-buoni-propositi-per-il-2012/#comment-5
Zandonai propone di parlarne con un occhio all’impresa sociale, sistema che gli sta a cuore perchè al suo interno svolge da tempo una funzione di stimolo culturale. Ne approfitto e butto sul tappeto alcune proposte per il nuovo anno.
La prima: considerare l’impresa sociale come un’organizzazione fatta di processi e ruoli e quindi dare valore a questi aspetti. Nominare, descrivere i ruoli, rivedere l’organizzazione è un lavoro che è utile per la salute dell’impresa sociale. Investire tempo ed energie in questo lavoro di “manutenzione” serve e soprattutto da frutti.
La seconda: ampliare gli orizzonti e quindi costruire relazioni consistenti, durature e differenziate anche con il profit. Per farlo servono ruoli nuovi (figure di vendita) e linguaggi diversi (una comunicazione rivolta al profit), competenze esterne al sistema (consulenti che parlino il “linguaggio aziendale”).
La terza: dare valore al lavoro femminile considerando i tempi della conciliazione non come una iattura ma come una differenza da utilizzare per la propria organizzazione e aumntarne la flessibilità. Lo si fa con gli inseriti ma non con le operatrici o con le dirigenti di cooperative, consorzi e organismi datoriali.
La quarta: favorire il cambiamento della dirigenza. Cosa difficile perchè “non si sa quali alternative fornire”. Ma in pochi pensano a supporti professionali. Lo fanno le aziende innovative, non lo fa l’impresa sociale, lasciando il dirigente solo in questa delicata situazione. Eppure il terzo settore si occupa di politiche attive del lavoro, conosce bene le questioni in ballo quando si parla di nuovo progetto professionale di riposizionare un profilo nel merato del lavoro.
La quinta: valutare il lavoro delle persone. Perchè c’è chi si prodiga, chi si da da fare ma anche chi è disorientato e chi è stanco. Le prestazioni non possono essere considerate tutte sullo stesso piano perchè così non si valorizza il lavoro delle persone. E poi è clamoroso che si valutino gli inserimenti lavorativi ma non i lavoratori ordinari (e i dirigenti).La sesta: valorizzare l’aspetto economico. Sia per quanto riguarda gli stipendi di dirigenti ed operatori. Sia per quanto riguarda il costo dei servizi. La qualità costa, la personalizzazione dei servizi anche. E’ venuto il momento di farla pagare e l’esperienza di Welfare Italia dimostra che è possibile.
Sei buoni propositi che potrebbero dare una mano al terzo settore soprattutto in un periodo come questo che costringe terzo settore, pubblica amministreazione e privato a ripensarsi. Fra difficoltà, crisi, novità, come quelle di cui parlano Ivana Pais e Flaviano Zandonai.
Buon anno all’impresa sociale e anche a tutti noi.
Sergio
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