Lo scorso anno in parallelo alla discussione sullo scioglimento delle province è esplosa la questione dei Centri per l’impiego (CpI). La discussione ha subito assunto toni accesi legata al costo dei servizi offerti dal pubblico. Sergio Rizzo sul Corriere della Sera si chiedeva se il costo unitario di ogni posto di lavoro, più di 13 mila euro, valesse la pena. “I numeri rappresentano una sentenza inappellabile. Negli ultimi sette anni hanno trovato occupazione attraverso i CpI non più di 35.183 persone ogni dodici mesi”. La sentenza che Rizzo riporta è molto chiara, i CpI sono “uno strumento che esce bocciato dall’esame dei dati, perché errare è umano ma perseverare diabolico. Piuttosto, destiniamo le risorse (…) ai giovani che vanno in azienda a fare tirocini o stage, anziché impiegarle per creare altri posti inutili in quegli uffici pubblici”.
Il tema sembra ottenebrato dal furore contro. Contro la scarsa efficienza dei CpI, contro le province e contro la pubblica amministrazione in genere. Le risposte arrivano, anche se in modo frammentato dal momento che mancano i luoghi dove approfondire i temi legati alle politiche del lavoro. Sul nostro blog Eugenia Scandellari, coordinatrice dei CpI modenesi, segnala che i dati vanno visti con attenzione. Ricorda che i CpI devono svolgere adempimenti di tipo amministrativo come il riconoscimento e la gestione dello stato di disoccupazione, comunicazioni obbligatorie, liste di mobilità. Particolare quest’ultimo non marginale perché la crisi ha aumentato la richiesta di ammortizzatori sociali che hanno notevolmente incrementato il flusso di persone. Ricorda i numeri che riguardano il territorio modenese: il 4% delle assunzioni è transitato dai CpI e il 3,7 dalle agenzie di somministrazione. Ma il dato più clamoroso è dato dal fatto che il 57% delle assunzioni è avvenuta per conoscenza diretta del candidato o per segnalazione da parte di clienti e fornitori. Il che ci dice che le persone trovano il lavoro tramite il sistema delle relazioni. E questo è il problema soprattutto quando la massa di disoccupati è data da persone che hanno sistemi di relazioni fragili e limitati. La scommessa a questo punto è dar vita a reti di servizi che intercettino queste persone utilizzando anche strumenti come i servizi di orientamento al lavoro spesso sottovalutati perché l’efficacia è difficilmente misurabile e sicuramente non lo è in termini di posti di lavoro.
Concetto Maugeri ex direttore del Settore lavoro della Regione Piemonte, sempre sul blog di SLO, prende le distanze dalla diatriba sulla funzione pubblica o privata dei servizi perché fuorviante. Introduce il tema del difficile rapporto tra politiche lavoro e aziende. Perché i CpI hanno uno scarso rapporto con il mondo imprenditoriale e perché le politiche per il lavoro dovrebbero andare di pari passo con quelle per lo sviluppo. Propone di integrare “tutto ciò che si muove sul piano dello sviluppo della produzione di beni e servizi”, le diverse iniziative in termini di programmi, progetti territoriali, progetti d’impresa. Ritiene inoltre che quando si attivano risorse pubbliche per lo sviluppo, si debba in parallelo lavorare sullo sviluppo delle risorse umane: alle risorse per lo sviluppo (FESR) le politiche del lavoro devono affiancare ulteriori risorse (FSE) per servizi che ottimizzino l’occupabilità delle persone.
Romano Benini sul sito Work Magazine segnala che il dibattito fra funzione pubblica o privata dei servizi per l’impego esprime l’assenza di una cultura diffusa nella politica, nel sindacato e tra gli operatori economici che consideri le tutele per chi cerca lavoro sullo stesso piano di garanzie e tutele degli occupati. Infatti per chi cerca un lavoro “non è previsto dal Titolo V della Costituzione italiana (…) di poter avere accesso a servizi adeguati e non è prevista (…) l’obbligo che per ogni sussidio erogato a disoccupati sia prevista l’adesione ad un intervento di attivazione al lavoro”. Assenza per niente casuale che indica anche la marginalità attribuita dallo Stato ai CpI e che spiega perché la spesa per i servizi per l’impiego è inferiore ai 500 milioni di euro, contro i 5 miliardi francesi e gli 8 tedeschi. Benini riporta a fine articolo una ricca documentazione di confronto con gli altri paesi europei.
“L’assetto di competenze e responsabilità definito dal Titolo V della Costituzione e l’assenza di livelli essenziali delle prestazioni che il disoccupato può esigere (…) ha determinato la presenza di ben 20 sistemi regionali e 110 modelli provinciali di erogazione dei servizi (…) una evidente dispersione che limita la possibilità di trovare buone pratiche di sistema”. In questa assenza di programmazione nazionale emergono comunque numerosi casi di CpI in grado di offrire efficaci servizi di intermediazione e di attivazione delle persone senza lavoro. Infatti mentre “la media nazionale dell’intermediazione nel 2013 è del 3%, diventa un 10% in Umbria, un 12% in Toscana, un 18% in Piemonte e Trentino. Molto interessante il dato friulano, in cui più del sessanta per cento dei lavoratori intermediati vengono gestiti dal sistema pubblico”.
Si torna dunque ai dati da cui eravamo partiti con l’articolo di Rizzo sul Corriere però in una prospettiva diversa e con un quadro che riflette la complessità della partita in gioco. Gli scivoloni ideologici che contrappongono pubblico e privato non aiutano nessuno, anzi è necessario starne alla larga. Più utile invece mettere mano ad una serie di dispositivi fortemente integrati fra loro.
Non si può pensare che senza finanziamenti i CpI producano risultati e lo stesso vale per l’assenza di programmazione, di politiche per l’integrazione fra CpI e fra agenzie pubbliche e private, di sinergie fra politiche del lavoro e dello sviluppo economico. E non si può pensare che la totale mancanza di attenzione ai processi di lavoro interni ai CpI, fra CpI e strutture provinciali e regionali possa essere compensata dalla buona volontà dei singoli operatori, Processi, clima, ruoli e competenze sono elementi del funzionamento dei servizi che richiedono altrettanta attenzione e cura da chi programma le politiche.
Le partite aperte sono tante e quello che serve è il coinvolgimento a diversi livelli degli operatori nel processo di riformulazione della funzione dei CpI. E’ una risorsa molto importante in grado di compensare il grave ritardo delle politiche del lavoro del nostro paese. Non lasciamola perdere.
Sergio Bevilacqua
[…] Si potrebbe obiettare che l’approccio pubblico è destinato a risultati molto poveri mentre quello delle Apl è più realistico. A parte i numerosi casi di centri per l’impiego pubblici che garantiscono esiti molto significativi (vedasi qui: https://slosrl.wordpress.com/2014/09/01/centri-per-limpiego-e-una-questione-di-efficacia-ed-efficien…). […]
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[…] in organismi amministrativi che hanno dedicato scarsa attenzione e tempo alla gestione dei servizi: https://slosrl.wordpress.com/2014/09/01/centri-per-limpiego-e-una-questione-di-efficacia-ed-efficien…. Inoltre sarebbe interessante verificare se enti accreditati e servizi per l’impiego siano stati […]
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[…] Logico e razionale. Efficiente? Un po’ meno. Perché bisogna addentrarsi nell’operatività. Intanto il meccanismo genera dal punto di vista organizzativo una forte richiesta di documentazione amministrativa. Alcuni operatori accreditati segnalano che l’attività di rendicontazione richiesta dalla Regione supera per monte ore, l’attività erogata all’utente. Questo indicatore andrà monitorato con grande attenzione perché una delle storiche critiche alla scarsa efficienza dei CpI è legata al fatto che da erogatori di servizi rivolti a persone ed aziende si sono trasformati in organismo sostanzialmente amministrativi https://slosrl.wordpress.com/2014/09/01/centri-per-limpiego-e-una-questione-di-efficacia-ed-efficien… […]
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[…] Si potrebbe obiettare che l’approccio pubblico è destinato a risultati molto poveri mentre quello delle Apl è più realistico. A parte i numerosi casi di centri per l’impiego pubblici che garantiscono esiti molto significativi (vedasi qui: https://slosrl.wordpress.com/2014/09/01/centri-per-limpiego-e-una-questione-di-efficacia-ed-efficien…). […]
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Sottoscrivo pienamente quanto raccontato da Bevilacqua e Maugeri.
Sono Orientatrice presso un Centro Impiego della provincia di Milano e ormai da tempo avverto un’attenzione rivolta alla “forma” (cioè Dote Unica, Garanzia Giovani, etc) e una pressoché assenza di attenzione rivolta alla “sostanza” (cioè i processi che andrebbero implementati, quelli reali, a favore delle persone, aziende, territorio e personale dei CPI coinvolto).
Si respira un’aria pesante, una assenza di informazioni (voluta, ovviamente) che ai più attenti osservatori fa presagire dei movimenti sotteranei. Che però alla base non hanno un pensiero funzionale ai bisogni (di tgautti gli attori sociali) se non in funzione di presunte performances di cui alla gente non interessa un fico secco (comprese le aziende in fondo in fondo) perché non presuppongono in primis un ascolto dei bisogni ma sono funzionali a progetti che portano finanziamenti. Poi c’è il tema del personale: orientatori e addetti alla preselezione con elevate competenze che rischiano di ricevere il benservito (vedi province-aree metropolitane). Se non si parte dai bisogni (che non sono solo occupazionali) non si va da nessuna parte: la strutturazione dei servizi per l’impiego potrebbe seguire a mio avviso l’impronta del servizio sanitario nazionale: Asl, Centri Impiego, medici di base, sportelli/punti lavoro (sportelli che si rivolgono al territorio, come furono i Centri Lavoro). Il discorso è articolato, ha una sua complessità ma non è impossibile..la storiella dei finanziamenti è appunto una storiella. E’ la volontà che manca..la volontà.
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Romano Calvo ci segnala che aver rinunciato a valutare l’efficacia dei servizi per l’impiego ci ha lasciati senza argomenti di fronte critiche a caratterizzate da una forte carica ideologica. E al contempo dice che la mancanza di risorse rende proibitivo ogni tentativo di riforma del servizio pubblico.
Il problema però è che i tentativi di cambiare dal basso continuano imperterriti indipendentemente da una volontà centrale. In questo caso che si fa, si lasciano soli funzionari delle province e operatori animati da spirito d’innovazione? E peraltro la revisione delle modalità di rapporto con le aziende, con il territorio, il lavoro di rete, richiedono necessariamente i grandi investimenti tipici delle “vecchie operazioni ministeriali” oppure possiamo pensare ad interventi più snelli che salvaguardino le peculiarità locali?
Sulla valutazione nessun dubbio: valutare aiuta a progettare e a farlo seriamente!
Sergio Bevilacqua
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Romano Calvo ha indubbiamente ragione. Ma i fatti concreti parlano di piccole realtà (come sostiene Bevilacqua) che si muovono a prescindere. Forse bisognerebbe avere più coraggio e pensare al territorio locale per far conoscere, esponendosi, raccontando, mettendo insieme competenze, conoscenze e reagire a una miopia istituzionalizzata che non può andare avanti per molto. Se non si reagisce, se non si contrappone esperienza a esperienza (fallimentare) …se non ci si unisce. Sarò idealista ma credo che i tempi debbano cambiare….Alessandra Gallo
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Le mie esortazioni nascono da una profonda consapevolezza di ció che è stato e di ció che è. Se Calvo ha abbandonato il suo lavoro ció è avvenuto per tanti motivi. Io credo molto alla variabile “politica”, alla richiesta implicita ed esplicita di colludere, di mettere le “mani in pasta”, mentre i bisogni sono altri. Io provengo dalla “scuola” dei Centri Lavoro, esperienza di grande valore (ovviamente per me) in cui Calvo fece un grande lavoro. I Centri Lavoro erano esperienze locali, snelle, competenti e rispondevano ai bisogni: delle persone e delle aziende. Quando chiuse il Centro Lavoro in cui operai per 5 anni stetti male per diverso tempo. Non mi sembrava vero: i valori creati dalle conoscenze, competenze, dalle persone che vi operarono furono spazzate via…in sostanza per motivi politici! E nessuno disse nulla, tutto svanì nel nulla..qualche struttura riuscì ad andare avanti per essere convogliata nei Centri Impiego. D’altronde era così previsto ma non si trassero elementi veramente utili al funzionamento dei Centri Impiego…furono soldi spesi “quasi” per nulla. E l’esperienza di Calvo venne archiviata. Dopo il Multimisura, il sistema di accreditamento della Regione e la crisi attuale la situazione per un verso non è cambiata..anzi sì. È un caos. Non sono votata alla causa dei Servizi per l’impiego ma mi piacerebbe tanto che per una volta ci si muovesse dal basso per farsi sentire. Con la professionalità di lettura di un contesto che sta annaspando e con la consapevolezza della realtà che abbiamo di fronte a noi. Non è ideologia la mia (anche se ovviamente le mie idee le ho). I dati di fatto ci sono.
Se la politica facesse il proprio dovere le strategie e le soluzioni di fronteggiamento dei problemi sarebbero già stati individuati. Da un pezzo! I Centri Lavoro, ad esempio, furono un’esperienza importante a tal fine.
Alessandra Gallo
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Sono testimone da oltre 10 anni dei tanti tentativi di rilancio dei Centri per l’Impiego. Rimango convinto che l’errore è stato quello di snobbare i dispositivi di monitoraggio e valutazione sulle attività e risultati (che il sottoscritto non solo concepì ma praticò con successo in alcuni contesti). Così, basta che il primo giornalista di moda spari la sua sentenza, per trovarci tutti senza parole.
In ogni caso occorre tenere distinta l’analisi dalle proposte. Su queste ultime ho scritto e detto molto, in tante occasioni, senza ottenere ascolto. Ed ora, di fronte a questa crisi, che è sistemica e di paradigma, le sagge proposte di ieri non sono più praticabili. Anche perchè la guerra economica che stiamo subendo, riduce le risorse necessarie per qualsiasi tentativo serio di riforma del servizio pubblico. Credo che questo dibattito debba essere inserito nella più ampia cornice della crisi e non essere più affrontato in modo settoriale.
Romano Calvo
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Sicuramente il clima generale può aiutare lo sviluppo delle politiche attive del lavoro e Romano Benini spiega molto bene che non essendoci state scelte nette e decise in favore dei diritti e dei doveri delle persone senza lavoro le scelte successive, come per esempio la decisione di non investire sui CpI sono conseguenti. Potremmo poi anche dire che un’altra scelta politica è quella di escludere le partite IVA, i piccoli imprenditori dalle politiche del lavoro. Una discriminazione ormai anacronistica. Forse con una maggiore attenzione avremmo avuto qualche suicidio in meno fra i piccoli imprenditori.
Comunque penso che ogni sistema abbia un proprio modo e possibilità di autoregolarsi. E quindi gli operatori hanno la possibilità di influenzare, anche se limitatamente, andamento dei centri, qualità dei servizi e relazione con l’utenza. Il singolo ha sempre una possibilità di manovra che è legata al senso di responsabilità e agli spazi di autonomia che intende giocare nella relazione con la sua organizzazione. E’ una risorsa preziosa, non lasciamola perdere.
Sergio Bevilacqua
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A mio parere, in quanto Orientatrice presso un Centro Impiego, la cornice politica e culturale è fondamentale perché è in questo “sfondo” che i servizi per l’impiego operano. I livelli politici sempre a parer mio influenzano, colludono o comunque rappresentano il punto di partenza (o di arrivo) per qualsiasi PAL (politica attiva del lavoro).Elaborazioni teoriche e tecniche sul funzionamento dei servizi per l’impiego a nulla servono se non esiste il “placet” della classe politica di cui, purtroppo, non nutro opinioni positive ( tranne in rari casi)!
Alessandra Gallo
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