Questa volta vorremmo approfondire un’esperienza che comincia ad avere mesi di vita, che è stata rivolta a persone disoccupate (a dire il vero ha delle versioni anche per persone che lavorano) e che si sta diffondendo in varie città (Lodi, Parma ma ci sono abboccamenti anche con Trieste e Bergamo).
Si tratta dei gruppi di auto aiuto di cui abbiamo già parlato nel post precedente. Un’esperienza molto particolare condotta dalla Camera del Lavoro di Milano in accordo con l’Assessorato alle Politiche del Lavoro del Comune di Milano.
E’ particolare perché valorizza un tema a lungo sottaciuto: la sofferenza di chi perde il lavoro, la difficoltà del singolo a rielaborare un vero e proprio lutto, il valore assolutamente individuale dell’esperienza di rielaborazione della perdita del lavoro. L’importanza di sbloccare questo passaggio per poter poi tornare in gioco e ridefinire un nuovo progetto professionale. Anche se non si è più giovani.
Per battere la disoccupazione è necessario che le persone si attivino, diventino protagoniste della ricerca di una nuova soluzione. Lo dice bene Claudio Negro, Segretario aggiunto della UIL Lombardia che nel convegno organizzato il 14 giugno ha segnalato che un primo bilancio delle doti lavoro regionali (i voucher che la Regione finanzia per favorire occupabilità e occupazione di chi è senza lavoro) ha dimostrato che le persone che si sono ricollocate negli ultimi 3 anni utilizzando i servizi finanziati per due terzi lo hanno fatto autonomamente.
Nell’ intervista che segnaliamo il responsabile del Dipartimento sociale della Camera del Lavoro di Milano, Corrado Mandreoli, spiega come sono nati e come si stanno sviluppando i gruppi di auto aiuto. Spiega anche delle dinamiche ci si sviluppano all’interno dei gruppi e di come possa succedere che l’operario entri in sintonia con il dirigente sanitario perché la difficoltà di reagire alla perdita del lavoro non conosce barriere gerarchiche e accomuna tutti i profili professionali.
Si possono dire tante cose di questa esperienza: dello spirito garibaldino, di un setting da precisare, della visione sindacale unitaria. Ma tutte queste cose varrà la pena affrontarle in un secondo momento, quando verrà il momento della valutazione. Per adesso è importante fare, abbattere il muro della stasi e della difficoltà ad iniziare. Anche perché il dubbio sul senso delle politiche attive del lavoro è sempre dietro l’angolo: “A cosa servono le politiche attive se poi i posti di lavoro non ci sono?”. Vai a spiegare che i posti ci sono e che in Lombardia sul milione di persone che hanno cessato il lavoro per vari motivi (l’hanno perso, sono andati in pensione, si sono trasferiti) negli anni 2008-’13 più di un terzo si sono ricollocate di cui l’80% nei primi sei mesi. Vai a spiegare che al convegno citato il professore Mezzanzanica dell’università Bicocca ha censito settori, profili e territori dove in Lombardia si assume, ora. Il dubbio esistenziale sull’utilità delle politiche attive è sempre duro a morire.
Per questo sono importanti esperienza come quella dei gruppi di auto aiuto, perchè provano ad innovare le politiche attive del lavoro, ora.
Sergio