Ci siamo, cominciano a delinearsi le linee guida del prossimo futuro per chi opera nelle province, nei servizi per l’impiego. E anche per chi ci lavora insieme, magari sul versante delle cooperative sociali o dei servizi sociali. Insomma un numero significativo di persone devono rivedere il proprio modo di lavorare, di interagire con i colleghi, con chi fa le politiche e con chi gestisce la relazione con gli utenti.
Stiamo parlando di un cambiamento epocale per la radicalità delle questioni connesse. E dobbiamo fare attenzione a scorciatoie, automatismi, modalità adempitive sospinte da un approccio giuridico che sembra imporsi in tutte le decisioni anche quelle in cui sarebbe necessario un pensiero organizzativo.
Riforma delle province e riforma Fornero non possono essere viste unicamente dal punto di vista delle norme. Bisogna spaziare oltre con un approccio interdisciplinare, immaginando adesso e non quando sarà troppo tardi, le implicazioni che le due riforme comportano.
Per agevolare un’osservazione che eviti quanto già visto con il passaggio delle deleghe dal Ministero del Lavoro alle province delineo alcuni temi che si profilano all’orizzonte.
Efficienza – se ne parla tanto, l’abbinata esatta sarebbe efficienza ed efficacia per riprendere un tema presente da qualche anno nel mondo aziendale. La questione di fondo: è possibile aumentare numeri degli utenti presi in carico, inserimenti lavorativi, reti avviate nei territori, passare da sperimentazione di modelli a nuovi modi di operare? Si, è assolutamente possibile. Ma non basta auspicarlo o pensare di riuscirci tagliando il numero degli operatori. Forse è più utile creare le condizioni favorevoli a questa condizione. Come? Sensibilizzando gli operatori e rendendoli protagonisti di questo cambiamento epocale. Il coinvolgimento è fondamentale, soluzioni notarili già viste 13 anni fa servono a poco e creano un clima di indifferenza, demotivazione se non di larvata opposizione. Con buona pace dell’efficienza . . . . e anche dell’efficacia.
Integrazione – le attuali 107 province diminuiranno, drasticamente. Quindi si ridurrà il numero complessivo di dirigenti e strutture di governo. Ma nel frattempo aumenteranno altre variabili: territorio da governare, numero dei dipendenti, degli utenti, degli attori. Come si risolve la situazione? Vince il più forte, il migliore? Ci sono molte possibilità come già visto nelle riorganizzazioni dei grandi gruppi privati che prevalgano culture e modelli della provincia più forte o magari di quella meglio messa con i conti. Dopodiché dobbiamo aspettarci che i “vinti” siano una palla al piede. E a questo punto come si gestiscono territori che raddoppiano, utenti che aumentano a dismisura, nuovi protocolli che vanno individuati? E’ il caso di porsi in anticipo il problema dell’integrazione delle culture. Ed è il caso che la politica pensi a com’è andato il trasferimento del personale dalle antiche Scica ministeriali alle strutture provinciali, alla difficile integrazione tra culture e modi di operare. Non lasciamo perdere le esperienze del passato, sarebbe un peccato farsi nuovamente carico di costi che sappiamo già ora quali saranno.
Partenariati – il welfare si riduce, ci sono meno soldi a disposizione. Peccato che i problemi aumentino e l’utenza dei centri per l’impiego anche. Forse è venuto il momento, a lungo rinviato, di dirsi chi fa cosa nel territorio. Ma per fare un bilancio realistico è necessario fare anche un altro passaggio. Il partenariato, la rete sono possibili quando si evita che ci sia un ente prevalga, che dia la linea agli altri, che presupponga di sapere già come si deve fare. A volte il pubblico confonde il peso della responsabilità della norma con il diritto di prelazione e la conoscenza del giusto modello di integrazione. La crisi del welfare cambia le carte in tavola e obbliga tutti i soggetti a rivedere antiche abitudini. Se non so dove collocare utenti a bassa occupabilità la cooperazione sociale diventa un interlocutore d’obbligo. Si può pensare che il nuovo partenariato passi attraverso uno scambio per cui io provincia ti chiedo di includere nelle tue cooperative persone da rendere più solide in termini di occupabilità e in cambio ti creo nuovi ambiti di lavoro? Magari convincendo il mio settore acquisti ad esternalizzare alla cooperazione parte delle attività come prevede la 381. Oppure convincendo le parti sociali ad utilizzare l’articolo 14 della legge Biagi o il 12 bis della 68? (vedi il workshop organizzato dalla Provincia di Vercelli).
Il cambiamento destabilizza e a volte spaventa, è inevitabile. La crisi sicuramente non aiuta. Ma entrambi, crisi e nuove riforme all’orizzonte, possono costituire elementi dinamici che aiutano chi opera nelle politiche del lavoro a interpretare in modo nuovo il proprio ruolo. E’ la sfida dei prossimi mesi che richiede inventiva e nuove idee. Buon lavoro a tutti!
Sergio
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Accorpamento delle province e riforma Fornero: un promemoria
Posted in Commenti, Uncategorized, tagged accorpamento province, Cambiamento, centri per l’impiego, cooperazione sociale, politiche del lavoro, Riforma Fornero on 19 luglio 2012| 2 Comments »
Ci siamo, cominciano a delinearsi le linee guida del prossimo futuro per chi opera nelle province, nei servizi per l’impiego. E anche per chi ci lavora insieme, magari sul versante delle cooperative sociali o dei servizi sociali. Insomma un numero significativo di persone devono rivedere il proprio modo di lavorare, di interagire con i colleghi, con chi fa le politiche e con chi gestisce la relazione con gli utenti.
Stiamo parlando di un cambiamento epocale per la radicalità delle questioni connesse. E dobbiamo fare attenzione a scorciatoie, automatismi, modalità adempitive sospinte da un approccio giuridico che sembra imporsi in tutte le decisioni anche quelle in cui sarebbe necessario un pensiero organizzativo.
Riforma delle province e riforma Fornero non possono essere viste unicamente dal punto di vista delle norme. Bisogna spaziare oltre con un approccio interdisciplinare, immaginando adesso e non quando sarà troppo tardi, le implicazioni che le due riforme comportano.
Per agevolare un’osservazione che eviti quanto già visto con il passaggio delle deleghe dal Ministero del Lavoro alle province delineo alcuni temi che si profilano all’orizzonte.
Efficienza – se ne parla tanto, l’abbinata esatta sarebbe efficienza ed efficacia per riprendere un tema presente da qualche anno nel mondo aziendale. La questione di fondo: è possibile aumentare numeri degli utenti presi in carico, inserimenti lavorativi, reti avviate nei territori, passare da sperimentazione di modelli a nuovi modi di operare? Si, è assolutamente possibile. Ma non basta auspicarlo o pensare di riuscirci tagliando il numero degli operatori. Forse è più utile creare le condizioni favorevoli a questa condizione. Come? Sensibilizzando gli operatori e rendendoli protagonisti di questo cambiamento epocale. Il coinvolgimento è fondamentale, soluzioni notarili già viste 13 anni fa servono a poco e creano un clima di indifferenza, demotivazione se non di larvata opposizione. Con buona pace dell’efficienza . . . . e anche dell’efficacia.
Integrazione – le attuali 107 province diminuiranno, drasticamente. Quindi si ridurrà il numero complessivo di dirigenti e strutture di governo. Ma nel frattempo aumenteranno altre variabili: territorio da governare, numero dei dipendenti, degli utenti, degli attori. Come si risolve la situazione? Vince il più forte, il migliore? Ci sono molte possibilità come già visto nelle riorganizzazioni dei grandi gruppi privati che prevalgano culture e modelli della provincia più forte o magari di quella meglio messa con i conti. Dopodiché dobbiamo aspettarci che i “vinti” siano una palla al piede. E a questo punto come si gestiscono territori che raddoppiano, utenti che aumentano a dismisura, nuovi protocolli che vanno individuati? E’ il caso di porsi in anticipo il problema dell’integrazione delle culture. Ed è il caso che la politica pensi a com’è andato il trasferimento del personale dalle antiche Scica ministeriali alle strutture provinciali, alla difficile integrazione tra culture e modi di operare. Non lasciamo perdere le esperienze del passato, sarebbe un peccato farsi nuovamente carico di costi che sappiamo già ora quali saranno.
Partenariati – il welfare si riduce, ci sono meno soldi a disposizione. Peccato che i problemi aumentino e l’utenza dei centri per l’impiego anche. Forse è venuto il momento, a lungo rinviato, di dirsi chi fa cosa nel territorio. Ma per fare un bilancio realistico è necessario fare anche un altro passaggio. Il partenariato, la rete sono possibili quando si evita che ci sia un ente prevalga, che dia la linea agli altri, che presupponga di sapere già come si deve fare. A volte il pubblico confonde il peso della responsabilità della norma con il diritto di prelazione e la conoscenza del giusto modello di integrazione. La crisi del welfare cambia le carte in tavola e obbliga tutti i soggetti a rivedere antiche abitudini. Se non so dove collocare utenti a bassa occupabilità la cooperazione sociale diventa un interlocutore d’obbligo. Si può pensare che il nuovo partenariato passi attraverso uno scambio per cui io provincia ti chiedo di includere nelle tue cooperative persone da rendere più solide in termini di occupabilità e in cambio ti creo nuovi ambiti di lavoro? Magari convincendo il mio settore acquisti ad esternalizzare alla cooperazione parte delle attività come prevede la 381. Oppure convincendo le parti sociali ad utilizzare l’articolo 14 della legge Biagi o il 12 bis della 68? (vedi il workshop organizzato dalla Provincia di Vercelli).
Il cambiamento destabilizza e a volte spaventa, è inevitabile. La crisi sicuramente non aiuta. Ma entrambi, crisi e nuove riforme all’orizzonte, possono costituire elementi dinamici che aiutano chi opera nelle politiche del lavoro a interpretare in modo nuovo il proprio ruolo. E’ la sfida dei prossimi mesi che richiede inventiva e nuove idee. Buon lavoro a tutti!
Sergio
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