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Posts Tagged ‘servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili’

marketing sociale 28.06.19

Gli autori del post sono Stefano Paltrinieri responsabile Area Servizi per le Persone di ANMIL Milano e Sergio Bevilacqua, presenza abituale del blog.

Una nuova prospettiva per chi gestisce i servizi che supportano l’inserimento in azienda di persone con disabilità: il marketing sociale. ANMIL ha voluto inserire all’interno di un’azione di sistema finanziata dal Piano Emergo della Città Metropolitana di Milano (Accademia di Disability Management) un modulo all’interno di un percorso formativo rivolto ad operatori e coordinatori che gestiscono servizi per l’inserimento lavorativo. Perché si intende favorire una logica di orientamento alle esigenze delle aziende che è fatta di tante azioni che spesso sfuggono ad operatori e responsabili dei servizi di inserimento lavorativo, delle cooperative sociali, degli enti accreditati.

Un vero e proprio un cambio di paradigma a chi offre servizi alle aziende, dal momento che si è storicamente privilegiata l’attenzione a bisogni ed esigenze della persona con disabilità, spesso riducendo la funzione ed il ruolo dell’azienda a “fornitore” di una postazione di lavoro o di un’occupazione che genera un reddito. Solo in poche situazioni il ruolo dell’azienda è stato ripensato e si è ritenuto fondamentale analizzarne esigenze specifiche, vincoli, postazioni di lavoro in relazione ai processi gestiti.

Il corso ha richiesto ai partecipanti di voltare lo sguardo e prestare attenzione alle esigenze di chi opera in azienda e si trova a gestire un tirocinio o un’assunzione di una persona con disabilità. Si è lavorato su casi, su esperienze che gli operatori in realtà hanno a disposizione. Ma che non sono stati mai sollecitati ad analizzare in modo sistematico per definire modalità di approccio, punti di forza e di attenzione. Perché chi finanzia i servizi al lavoro mira ad altro: ai servizi alla persona con disabilità e alla loro assunzione. Sembrerebbe anche una logica giusta, volta a premiare chi ottiene l’assunzione della persona in carico.

In realtà si è visto che la logica è parziale, perché non valorizza adeguatamente il lavoro necessario a tessere un rapporto di fiducia con l’azienda e i vari interlocutori che vi operano, perché non considera il lavoro di rete, soprattutto per la gestione di casi complessi che implicano la relazione attiva con i servizi specialistici. Il premio all’assunzione lascia le cose come stanno delegando agli operatori e alle organizzazioni che si occupano della gestione dei servizi il consolidamento della relazione con l’azienda.

Il corso con i responsabili dei servizi lavoro che si è tenuto dopo due edizioni del corso rivolte agli operatori, ha avuto modo di riflettere sulla scarsa attenzione che le organizzazioni che si occupano di servizi per il lavoro dedicano al marketing.

“Non prestiamo attenzione a questi aspetti” dicono gli operatori, perché nelle nostre organizzazioni non c’è mai il tempo per farlo.

“Non prestiamo attenzione” dicono i responsabili, perché è un’attività che non ci viene riconosciuta. Ed è proprio così, visto che in Lombardia quest’anno per la prima volta irrompe sulla scena dell’inserimento lavorativo la figura del promotore della legge 68: una nuova figura che opererà nelle equipe dei collocamenti mirati delle province lombarde.

Di fronte a questo nuovo scenario che finalmente segnala l’importanza di un orientamento dei servizi ai bisogni dell’azienda, che si affiancano ai bisogni della persona in carico, è emersa l’importanza del tema del marketing sociale.

Cioè di un riferimento ben preciso che spinga le organizzazioni a dotarsi di strumenti e anche di professionalità che valorizzino uno sguardo attento alle esigenze delle aziende. Partendo da quanto in realtà già si fa ma che resta spesso un’esperienza isolata, casuale, legata spesso all’iniziativa del singolo operatore.

Si può partire con gradualità, si possono sistematizzare competenze e prassi già presenti, si può intavolare un dialogo con le istituzioni. Quelle stesse che per esempio hanno finanziato un corso di questo tipo.

La strada da compiere è lunga, se pensiamo che Philip Kotler, il “filosofo” del marketing management ha elaborato il suo approccio nel 1967. Però a vent’anni dalla nascita della legge è necessario pensare ad una visione che dia valore ai bisogni di chi ospiterà le persone con disabilità. E’ necessario pensare ad un cambio di paradigma.

Sergio Bevilacqua, Stefano Paltrinieri

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consulenti lavoro e coop sociale 150219Nell’ultimo numero di Sintesi, rivista dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano, insieme a Luca Di Sevo consulente del lavoro e Fabio Ferri presidente delle cooperativa sociale Alveare di Bollate, proviamo a ragionare sulle possibili connessioni fra due mondi apparentemente molto distanti. Quello dei consulenti del lavoro, figure che nella rappresentazione diffusa rivestono le sembianze di consulenti distaccati dai temi tipici dell’inclusione e più orientati alla corretta applicazione delle norme. E il mondo delle cooperative sociali che hanno una reputazione di organizzazioni molto attente alle persone e più distanti da una gestione manageriale delle risorse.

Nell’articolo Di Sevo e Ferri individuano invece i tanti temi che possono tenere insieme i due mondi. L’elenco è lungo e riguarda gli strumenti che nel linguaggio della cooperazione favoriscono l’inclusione sociale, cioè la possibilità per persone che hanno forme di disabilità o di svantaggio sociale (in situazione di povertà, detenuti o al termine della detenzione) di trovare il modo di inserirsi nel mercato del lavoro. Evidentemente si tratta di ambiti che hanno alcune particolarità: aziende che sono tenute ad assumere persone con disabilità per adempiere alla normativa (L. 68/99) oppure aziende che, non avendo vincoli normativi, intendono sperimentarsi nella gestione di persone che richiedono una gestione attenta ai loro bisogni. Che sono più complessi di quelli normalmente presenti nel personale. Per esempio una cura particolare verso la mobilità e la logistica, eliminando le barriere architettoniche. Oppure una cura nel sistema di relazioni all’interno dei gruppi di lavoro, curando la comunicazione, i ritmi e il modo di rispettare le scadenze. Gli esempi di gestione di bisogni complessi potrebbero moltiplicarsi. Quello che evidenziano Di Sevo e Ferri è la presenza di strumenti che ora l’azienda ha a disposizione per destreggiarsi con maggiore facilità, ad iniziare dai finanziamenti messi in campo dalla Regione Lombardia tramite la cosiddetta dote disabili.

Gli strumenti riguardano i tirocini, alcuni dei quali finanziati da borse lavoro gestite dai servizi comunali di inserimento lavorativo. E inoltre è utile soffermarsi sul cosiddetto articolo 14, che costituisce una possibilità molto interessante dal momento che consente all’azienda di definire un accordo per esternalizzare un’attività ad una cooperativa sociale che può gestirla per conto dell’azienda assumendo la persona con disabilità, facendosi carico delle complessità della gestione della persona in azienda. Complessità che per una cooperativa si riducono dal momento che è attrezzata a gestire queste forme di lavoro, disponendo di persone formate e con una lunga esperienza. Peraltro va specificato che la cooperativa Alveare aderisce ad una rete di cooperative  denominata Fil Rouge che è in grado di gestire commesse di lavoro in ambiti molto diversificati, fornendo quindi risposte che agevolano l’interlocutore aziendale.

Infine è utile riprendere la riflessione sul ruolo del consulente del lavoro. Di Sevo segnala che le prerogative del ruolo non vengono messe in discussione da una relazione che è chiamata a gestire punti di incontro tra i due mondi che sembravano avere esigenze e riferimenti molto distanti. Anzi emerge al contrario che la necessità che alcune aziende hanno di trovare soluzioni innovative alla gestione adempitiva della norma, richiedono al consulente del lavoro una funzione proattiva. L’esempio tipico è quello dell’azienda che partecipa a bandi che richiedono il nulla osta di regolarità nella gestione della L. 68. Al consulente può quindi arrivare una richiesta di trovare una soluzione che preveda di individuare persone con disabilità che partecipino attivamente e non rimangano ai margini dell’attività produttiva in una logica assistenziale. Questo tipo di richiesta, peraltro destinata ad ampliarsi progressivamente, orienta la funzione del consulente del lavoro. Ed il dialogo del consulente con la cooperativa che per sua natura detiene un sistema di relazioni con vari soggetti che nel territorio offrono servizi per l’inclusione, diventa prezioso a fronte di richieste come quella che abbiamo considerato.

Quindi l’interazione fra il mondo della cooperazione e quello dei consulenti del lavoro è destinata a riproporsi su diverse partite: la gestione delle scadenze normative con approcci manageriali e non adempitivi, le politiche di responsabilità sociale da parte di imprese interessate a gestire la propria reputazione, la possibilità di beneficiare dei finanziamenti che intendono agevolare l’inserimento lavorativo. Due mondi che nel passato agivano con orientamenti diversi si trovano oggi di fronte a scadenze e obiettivi che richiedono una conoscenza e una frequentazione reciproca. L’articolo segnala quindi l’inizio di una nuova prospettiva.

Sergio Bevilacqua

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ROAD 3.11.18E’ diffusa l’idea che il mondo aziendale sia poco sensibile ai temi dell’inserimento al lavoro della persona con disabilità, ma non sempre è così. Questa opinione ha trovato conferma negli esiti di un progetto, svoltosi da giugno 2017 a giugno 2018, finanziato dalla Provincia di Monza e Brianza, il progetto ROAD – Rete Occupazione in Azienda di persone Disabili – realizzato da ANMIL, Umana, SLO, IAL, CGM. Il progetto intendeva supportare la creazione di un punto di vista strategico sul lavoro delle persone con disabilità in azienda traducendo nella pratica quello che è stato spesso uno slogan: “trasformare l’inserimento lavorativo da obbligo ad opportunità”. Infatti offrire la possibilità di intervenire sul Disability Management ha rappresentato l’occasione, in molti casi, di dare vita ad una strategia d’impresa per coniugare le esigenze delle persone con disabilità con quelle delle aziende. La realizzazione di questo progetto ha quindi implicato un cambio di paradigma: il focus è stato centrato sulle aziende.

Al progetto hanno partecipato 11 imprese private e pubbliche: Alstom Ferroviaria, Altea Federation, Astrazeneca, Axxam, Consorzio Desio Brianza, ERSAF Lombardia, Eureka Cooperativa Sociale, IBM, Istituto Europeo di Oncologia, Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Solaris Onlus. Tutte situate  nel territorio lombardo, la gran parte di dimensioni medio-grandi.

La costruzione del progetto è partita da una attenta e profonda rilevazione dei bisogni aziendali  attraverso un’intervista e per la raccolta dei dati sono stati dedicati ad ogni impresa almeno due incontri. L’approccio dei consulenti ROAD è stato di “ascolto” nei confronti dei referenti aziendali, e questo ha favorito l’instaurarsi di un rapporto fiduciario, fondamentale per individuare soluzioni a problemi spesso endemici. I consulenti hanno proposto alle aziende un pacchetto di servizi personalizzato per accompagnarle nella soluzione delle criticità legate agli adempimenti della legge 68/99 e nella gestione delle persone con disabilità. L’adesione al progetto si è fatta progressivamente più collaborativa ed è stata formalizzata con un “patto” fra impresa e capofila del progetto ROAD che prevedeva la realizzazione di servizi diversi per ogni azienda.

Tre servizi si sono rivelati particolarmente significativi e innovativi rispetto all’offerta: la formazione alla funzione del Disability Manager e del Tutor Aziendale, la creazione degli Osservatori aziendali e l’utilizzo dell’Inclusive Job Design.

La formazione del Disability Manager e del Tutor Aziendale è fondamentale per le imprese: il primo progetta, gestisce e monitora i programmi di integrazione delle persone con disabilità salvaguardando la dimensione dell’efficienza lavorativa. Il Tutor Aziendale accoglie e inserisce la persona con disabilità nel contesto lavorativo e la guida nel migliorare le proprie capacità lavorative. E’ evidente come queste due figure debbano lavorare in stretta collaborazione e faranno parte del gruppo di lavoro dell’Osservatorio aziendale.

L’Osservatorio è una struttura composta da figure che rispondono a funzioni diverse, chiamate a collaborare per la risoluzione delle criticità. La struttura dell’Osservatorio è necessariamente legata a dimensioni e caratteristiche dell’azienda. In alcuni casi la funzione può essere gestita dal Disability Manager.

Particolare attenzione merita l’approccio dell’Inclusive Job Design che si prefigge di identificare, all’interno di posizioni consolidate, attività semplici, ma sufficientemente significative e rilevanti in termini di tempo e di impatto sui risultati finali. L’insieme delle “attività semplici” possono essere estrapolate dalla posizione principale ed affidate a persone disabili con il risultato di lasciare le funzioni più complesse e ad elevato valore aggiunto agli operatori. Il beneficio economico risulta evidente e consente di ottimizzare il lavoro degli operatori e il ruolo della persona con disabilità salvaguardando le esigenze di produttività. Il tema è stato approfondito da Francesca Oliva in un altro post.

In conclusione pensiamo che possa continuare ed affermarsi il nuovo paradigma, evidenziato nella sperimentazione del progetto ROAD, basato sulla centralità dell’azienda nel processo di inserimento e di mantenimento del lavoro delle persone con disabilità. Questa centralità implica l’ascolto dei bisogni di chi offre lavoro e non solo di chi lo cerca, un approccio dei servizi fortemente orientato alla personalizzazione delle soluzioni in base alle richieste di supporto proveniente dalle aziende, la disponibilità a formulare ipotesi aggregative fra i servizi in modo da offrire soluzioni integrate di servizi.

Il nuovo paradigma implica che i servizi entrino in una logica strategica diversa, imprescindibile se si vuole trasformare il vincolo normativo in una opportunità per la persona con disabilità e per l’azienda che lo ospita.

Diana Quinto, Sergio Bevilacqua, Cristian Clemente, Marino Bottà

Diana Quinto è Disability Manager presso SLO, Milano; Sergio Bevilacqua è Partner di SLO; Cristian Clemente è Direttore dell’Agenzia Pilota di Mediazione Sociale ANMIL; Marino Bottà è esperto dei servizi di inserimento lavorativo, già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco.

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DisabilitàEaziendaLa gestione della disabilità in azienda coinvolge molti attori che intervengono in vario modo nella relazione tra il referente aziendale e la persona disabile. Attori che si sono ritrovati in un workshop organizzato dallo Studio Arlati Ghislandi di Milano.

Consulenti del lavoro, disability manager, responsabili del collocamento mirato, associazioni che rappresentano le persone disabili, enti accreditati alla formazione e al lavoro si sono incontrati il 6 marzo a Milano in un confronto inusuale che ha dato visibilità alla complessità del tema, individuando i problemi aperti e le soluzioni possibili.

Nel workshop si è spaziato fra il metodo da utilizzare per il computo che consente l’assolvimento della legge 68, la definizione degli esoneri, le compensazioni territoriali, la definizione delle convenzioni con il collocamento mirato, l’utilizzo dei finanziamenti previsti dalla Regione Lombardia per favorire l’inserimento di persone disabili. E il cosiddetto Articolo 14 che consente l’esternalizzazione della persona in carico coinvolgendo le cooperative sociali che hanno una notevole esperienza nella gestione delle persone disabili.

Il workshop ha restituito una fotografia della complessità del tema dando voce al punto di vista dei consulenti del lavoro, Arlati, Mariani e Marra, ai responsabili delle associazioni, Villabruna di Ledha e Rasconi di UILDM, e anche del responsabile del collocamento della Città Metropolitana di Milano, Costanzi.

Carlo Balzarini di SLO ha approfondito lo spazio che emerge tra la dimensione informativa relativa alla norma e l’interpretazione di una politica aziendale finalizzata alla gestione delle diverse opportunità che, in alcuni territori come la Regione Lombardia, vengono messi a disposizione dell’azienda.

Inoltre Balzarini ha presentato il voucher denominato “Dote Impresa – collocamento mirato” e ha segnalato la presenza di altre Doti che possono agevolare concretamente l’inserimento di persone disabili in azienda. Questo scenario, che costituisce una novità non solo rispetto alla precedente normativa, ma anche al recentissimo passato, conferisce alle aziende maggiori spazi di autonomia. Per esempio, la possibilità di elaborare un piano di gestione e sviluppo delle persone disabili e con malattie professionali.

Se il responsabile delle risorse umane ha a disposizione un tutor proveniente da un ente accreditato in Regione per la formazione e la ricerca del lavoro per le persone disabili, gli spazi che si aprono per una conoscenza della persona che verrà inserita nell’organico aziendale sono considerevoli.

Sarà infatti possibile conoscere caratteristiche, potenzialità, attitudini della persona disabile. E anche vincoli, limiti e difficoltà. In questo modo la definizione della postazione di lavoro potrà essere valutata con attenzione evitando rischi per la sicurezza, ma anche per l’inclusione della persona disabile. La disponibilità di un tutor può inoltre consentire di valutare attentamente l’abbinamento tra persona e postazione lavorativa. E può inoltre consentire di considerare con attenzione anche le potenzialità di sviluppo.

Balzarini ha citato inoltre il metodo olandese dello inclusive job design, ulteriore strumento a disposizione di quelle aziende che intendano sviluppare una progettualità nell’analisi delle postazioni. Progettualità finalizzata ad una logica win win, in cui sia la persona disabile che l’organizzazione che la accoglie portino a casa un risultato soddisfacente. La persona: perché verrà individuato una lavorazione che attiene alle sue capacità e attitudini. L’azienda: perché avrà esaminato le fasi di lavorazione dei processi gestiti dal gruppo di lavoro in cui viene inserita la persona disabile. L’analisi ha l’obiettivo di individuare le mansioni che possono essere delegate alle persone disabili alleggerendo la parte ripetitiva di chi opera nel gruppo di lavoro, consentendo di spostare il loro lavoro su le parti a maggior valore aggiunto per l’azienda.

La gestione della disabilità in azienda diviene, nella proposta di Balzarini, un ambito di scambio di conoscenze e know how tra chi, come i cosiddetti enti accreditati, conosce la persona disabile perché l’ha in carico da tempo e ne ha sperimentato le potenzialità in percorsi valutativi. E chi, come il referente aziendale, ne sperimenta le capacità operative di raggiungere obiettivi e le capacità relazionali di interagire con i colleghi e con l’ambiente.

Costanzi ha presentato i dati relativi alle persone iscritte e quelli relativi a convenzioni e al cosiddetto Articolo 14 che fa riferimento al decreto legislativo 276/03. Si tratta della possibilità da parte delle aziende di convenzionarsi con il Collocamento mirato e una cooperativa sociale per delegare una lavorazione che comporta la creazione di una postazione di lavoro per la quale una persona disabile verrà assunta dalla cooperativa.

Nel dibattito successivo sul tema, è intervenuto Fabio Ferri, presidente della cooperativa Alveare, che ha presentato l’approccio innovativo di un gruppo di cooperative milanesi che hanno costruito un’offerta integrata di servizi rivolti alle aziende, andando oltre i tradizionali servizi, come le pulizia e l’assemblaggio, e integrandoli con servizi innovativi in ambito informatico e del welfare aziendale come il maggiordomo aziendale.

Il workshop si è concluso lasciando ai partecipanti una tangibile sensazione di operatività possibili, di orizzonti nuovi a portata di mano che rilanciano il testimone alle risorse umane che operano in azienda. Secondo un approccio che decreta il superamento definitivo della logica dell’adempimento normativo ma che sollecita un ruolo attivo da parte dell’azienda. Anche perché ormai strumenti e risorse sono a portata di mano.

Sergio Bevilacqua

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NILQuesto post è stato scritto da Maria Grazia Manciga responsabile del Nucleo Inserimenti Lavorativi di Bollate e Sergio Bevilacqua presenza abituale del blog. Entrambi coinvolti nel progetto di cui si parla nel post.

Il NIL di “Comuni Insieme” attivo ormai da 10 anni ha deciso di avviare il processo di accreditamento presso la Regione Lombardia per i servizi al lavoro. L’accreditamento consente di accedere ai finanziamenti previsti dalle Regione per l’inserimento lavorativo (la cosiddetta dote unica), a quelli del programma Garanzia Giovani e ai finanziamenti previsti dalla provincia di Milano per l’inserimento delle persone appartenenti alle categorie protette (Piano Emergo), e consente l’acceso ad una serie di progetti per l’attivazione delle borse lavoro, (ad esempio progetti sulla legge 8). Si è quindi valutato che l’accreditamento avrebbe favorito l’accesso a fonti ritenute importanti in uno scenario caratterizzato dalla riduzione delle risorse dei comuni. Elemento non da poco perché il NIL è un servizio che opera all’interno dell’ azienda consortile Comuni Insieme  che rappresenta 7 comuni (Baranzate; Bollate; Cesate; Garbagnate Milanese; Novate Milanese; Senago; Solaro) del nord Milano.

Si tratta di una scelta animata da un respiro strategico che ha caratterizzato in questi anni tante altre organizzazioni che in Lombardia, prendono in carico persone disabili o in svantaggio.

E’ però interessante vedere cosa succede ad un’organizzazione abituata a gestire i servizi di integrazione lavorativa utilizzando finanziamenti comunali, nel momento in cui decide di accreditarsi.

Alla sua nascita il NIL ha scelto di gestire i servizi attraverso una specializzazione territoriale che consentisse agli operatori che seguivano uno o due comuni, di creare una rete di relazioni e prassi operative consolidate e una stabilità di rapporto con utenti ed enti invianti. Consuetudine che caratterizza i servizi di inserimento lavorativo lombardi dal momento che il comune a tutti gli effetti è il “cliente” finanziatore dei servizi.

Le cose cambiamo radicalmente con l’accreditamento in Regione dal momento che l’accreditamento ha determinato la necessità di ampliare e differenziare le procedure legate specificatamente alle Doti e richiede l’utilizzo di uno specifico sistema informativo. Alle procedure e al sistema informativo connesso alle doti si somma l’utilizzo di quello provinciale specifico per le categorie protette. Il NIL si trova perciò nella necessità di acquisire competenze amministrative per gestire le nuove procedure. Le procedure regionali richiedono poi una documentazione articolata che andrà controfirmata per ogni azione dall’utente in carico e dal referente aziendale in caso di tirocinio e di assunzione.

La complessità della gestione di sistemi diversi e specialistici come quelli regionali e provinciali diventano incompatibili con la precedente organizzazione “territoriale”. Le precedenti procedure non sono più gestibili a fronte delle nuove che richiedono tempo per l’alimentazione del sistema informativo, la compilazione della documentazione richiesta e la raccolta delle firme ad ogni fase del processo di inserimento lavorativo: definizione del piano personalizzato, timesheet, avvio del tirocinio, conclusione, eventuale assunzione. A queste incombenze si aggiungono quelle relative alla certificazione di qualità, alla sicurezza, alla 231 che esulano dallo specifico del NIL e richiedono il coinvolgimento dell’intera struttura consortile.

Come si può facilmente intuire il passaggio non è neutro e i vissuti degli operatori nemmeno. Nella gestione dei laboratori finalizzati ad individuare i nuovi processi e quindi a definire le nuove procedure, emerge un disagio forte e palpabile. Il cambiamento è visto come una perdita di ruolo e di identità, produce stanchezza, disorientamento. E soprattutto genera un interrogativo, “Saprò fare ancora il mio lavoro?”. Inquietante perché il NIL di “Comuni Insieme” ha storicamente generato numeri significativi in termini di prese in carico (mediamente 60 utenti per operatore), di tirocini gestiti, di monitoraggi effettuati e di assunzioni.

La prima conclusione è che accreditarsi costa fatica, energie e spiazzamento degli operatori. E’ quindi un processo che va gestito prestando grande attenzione agli aspetti organizzativi. Cosa presidiare dunque per assicurare il passaggio da una struttura che utilizza prevalentemente finanziamenti comunali ad una struttura che utilizza quelli regionali?

Si è rivelato fondamentale analizzare i carichi di lavoro: emerge l’elevato impatto dell’attività amministrativa che tra l’altro comporta fino a 500 uscite per raccolte firme ogni anno, a scapito della qualità della presa in carico dell’utente. Emergono anche le soluzioni possibili. Presa in carico dell’utenza indipendentemente dal comune di provenienza, gestione di qualità dell’accoglienza, scelta che permette di condurre un lavoro più attento e finalizzato all’individuazione del profilo lavorativo e di vita della persona, per la costruzione di un possibile progetto. Gestione “attiva” della lista d’attesa, evitando di considerare il servizio come semplice fornitore di prestazione e gli utenti come utilizzatori di prestazioni pre-organizzate. Il servizio diventa una “regia che coordina gli interventi”, che insieme alle risorse e alle energie messe a disposizione dagli utenti e delle loro famiglie, possono contribuire alla co-costruzione del proprio progetto e generare una conoscenza più integrata e condivisa. Successivo rinvio a servizi diversi, organizzati per linee di finanziamento: doti, tirocini lavorativi comunali, tirocini riabilitativi risocializzanti, basato sulla scelta del progetto condiviso e costruito con l’adesione e la partecipazione della persone e della messa in campo del dispositivo di conseguenza più idoneo ad attivarlo. Infine grande attenzione allo scouting aziendale.

Insomma nuove procedure e nuovi ruoli individuati pazientemente all’interno degli incontri d’equipe. Ma anche nuovi servizi in supporto all’attività del NIL in termini di consulenza per la 231, qualità e sicurezza, un nuovo data base per la gestione di tutte le fasi della presa in carico per la gestione delle indennità e delle assicurazione, un fattorino che supporti i flussi di comunicazione NIL-aziende e NIL amministrazione centrale.

E’ emersa nell’arco di un semestre una riorganizzazione che ha come presupposti un presidio forte e costante da parte della responsabile del NIL, la collaborazione attiva e motivata da parte degli operatori per definire i dettagli delle nuove procedure e per contribuire alla definizione di una visione strategica che non può venire meno, perché il rischio è perdere la propria identità organizzativa. Infatti al termine del lavoro di riorganizzazione si focalizza l’attenzione sull’utenza in carico che necessita di una particolare attenzione e cura nella relazione, con necessità di un lungo accompagnamento al lavoro. E questa è una delle caratteristiche distintive del NIL che si propone come anello di congiunzione tra le politiche del lavoro e le politiche sociali. Questa nuova visione permette al contempo, di gestire in modo ottimale le pratiche delle persone che hanno necessità di percorsi più orientati al lavoro e l’allargamento a nuove categorie di utenza, senza che il cambiamento impatti in modo forte sul lavoro degli operatori e senza che l’organizzazione debba riadattarsi di volta in volta con il rischio di perdere un assetto organico.

Una visione dunque che fa i conti con il nuovo scenario nazionale. E che fa i conti con la complessità del cambiamento.

Maria Grazia Manciga e Sergio Bevilacqua

 

Lo staff del NIL di Bollate è composto da Alessandra Alberio, Laura Brian, Francesca Defendi, Filippo Marchesi, Patrizia Mattiolo, Raffaella Petito, Licia Stefanelli che hanno partecipato al percorso laboratoriale e ai gruppi di lavoro per l’elaborazione dei nuovi processi organizzativi.

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post 30 06 2014Questo post è stato scritto da Alessandra Bezzecchi, responsabile del Collocamento Mirato Disabili di Mantova e Sergio Bevilacqua, presenza abituale del blog. Entrambi coinvolti nel progetto di cui si parla nel post.

Le linee di indirizzo della Regione Lombardia sull’inserimento lavorativo delle persone disabili del dicembre dello scorso anno hanno delineato uno scenario che identifica il sistema delle relazioni nei territori ed i ruoli delle diverse organizzazioni che intervengono nella gestione dei servizi per l’inserimento.
Le organizzazioni che gestiscono i servizi appartengono a sistemi diversi: lavoro, formazione professionale, istruzione, sociale, sanità.
Sistemi diversi vuol dire linguaggi, culture e ovviamente strumenti per la gestione degli inserimenti che fanno riferimento a modalità operative diverse. Una torre di babele che non aiuta l’efficacia dei servizi e corre il grosso rischio di generare sovrapposizioni di proposte alle persone interessate ad entrare nel mercato del lavoro. In una situazione in cui le poche risorse disponibili dovrebbero essere amministrate con grande attenzione.
Come fare per uscire da questo labirinto? La Provincia di Mantova ha deciso di coinvolgere Piani di zona, ASL, Azienda Ospedaliera cui fa riferimento il dipartimento di salute mentale, Ufficio scolastico territoriale ed enti accreditati approfittando delle nuove linee di indirizzo regionale.
Non è stata un’operazione facile: i tempi necessari per favorire il consolidamento di una logica di confronto e soprattutto per definire modalità di integrazione con le necessarie ricadute operative non corrispondono quasi mai ai tempi della programmazione istituzionale.
Il passaggio dalle linee di indirizzo regionale alla definizione del piano provinciale disabili ha infatti obbligato i vari attori a sottostare a cadenze forzate per riuscire a definire un’architettura che agevolasse il lavoro di rete nei 6 ambiti territoriali e un raccordo che ne favorisse la governance a livello provinciale.
Il contenitore che ha consentito questa operazione è stata un’azione di sistema che ha consentito di sviluppare un’analisi dei processi di presa in carico dell’utenza e delle caratteristiche degli attori coinvolti nel processo di inserimento lavorativo, considerando i punti di forza e di debolezza del territorio.
Con gli attori riuniti in una cabina di regia si è definita una modalità di governance delle reti nei diversi distretti, le modalità di avvio di una sperimentazione per precisare l’invio dei candidati da prendere in carico con la cosiddetta dote disabili (il voucher previsto dalla Regione Lombardia).
L’azione di sistema ha previsto di sperimentare tirocini per definire un confronto sulle modalità di individuazione e segnalazione degli utenti da avviare ai tirocini. L’occasione ha consentito di avviare i tavoli locali che si sono riuniti almeno due volte in ogni singolo ambito territoriale. Nei tavoli sono state presentate le riflessioni in atto nella cabina di regia.
Nel workshop del 13 giugno che ha concluso la parte di elaborazione del modello, i rappresentanti dei sistemi hanno presentato i servizi gestiti dalle proprie organizzazioni per favorire una conoscenza dei servizi offerti dagli enti coinvolti nel modello mantovano.
La scommessa che si apre nel prossimo futuro riguarda l’avvio del nuovo avviso, le nuove doti che richiederanno infatti a tutti gli attori un investimento nello sviluppo del lavoro di rete e dei tavoli locali.

Alessandra Bezzecchi e Sergio Bevilacqua

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immagine blogQuesto post è stato scritto a due mani: da Umberto Ballabio, responsabile del Settore lavoro della Provincia di Como e da Sergio Bevilacqua, presenza abituale del blog. Entrambi coinvolti nel progetto di cui si parla in questo post.

Le nuove linee di indirizzo della Regione Lombardia spingono i vari attori che gestiscono servizi per l’inserimento lavorativo a fare chiarezza sul proprio ruolo. Non è una cosa da poco perché implica un altro chiarimento che sta a monte: definire chi fa cosa nel processo dell’inserimento lavorativo che è articolato e complesso. Quindi si tratta di definire chi gestisce i servizi finalizzati all’occupazione e chi invece all’occupabilità o la presa in carico dal punto di vista esistenziale. Inoltre implica un chiaro ragionamento su chi valuta le competenze ai fini dell’occupabilità e chi ai fini dell’occupazione che sono due cose ben distinte.

Tutti questi temi sono stati i protagonisti di un’azione di sistema che ha accompagnato e supportato la sperimentazione che il Settore lavoro della Provincia di Como ha avviato per gestire l’ultimo bando della cosiddetta dote disabili, cioè il finanziamento previsto in Lombardia per i servizi finalizzati all’inserimento lavorativo dei disabili.

La Provincia ha deciso di coinvolgere i SIL nella gestione della dote chiedendo la segnalazione degli utenti per poter gestire il finanziamento previsto dalla Regione. I tempi erano assolutamente ristretti e senza una collaborazione fra SIL ed enti accreditati che operano nella formazione professionale e nella cooperazione sociale non si sarebbe riusciti ad utilizzare i finanziamenti in un periodo di forti tagli al welfare.

Ma la collaborazione richiedeva la costruzione di un linguaggio comune, per esempio che enti accreditati e SIL parlassero la stessa lingua intendendosi sul concetto di persona “pronta” per l’inserimento lavorativo. Si è provato a costruire un primo criterio di segnalazione dell’utente e si sono definiti dei tavoli che negli otto distretti accompagnassero la sperimentazione basata sull’abbinamento fra SIL ed enti accreditati.

I tavoli avevano l’obiettivo di chiarire le modalità di collaborazione relative alla segnalazione dell’utente e precisare una modalità condivisa per definire il progetto di inserimento della persona in carico.

I tavoli sono stati monitorati e l’esito è stato valutato da una Cabina di regia che ha governato l’intera azione di sistema preparando gli incontri in plenaria fra enti accreditati e SIL.

Uno sforzo significativo anche perché concentrato in sette mesi, da ottobre 2013 ad aprile di quest’anno. Ma anche un accompagnamento efficace della collaborazione tra sistemi diversi che dispongono di propri riferimenti concettuali, proprie consuetudini e strumentazioni operative.

L’azione di sistema, che intendeva proporre una progettazione di nuovi strumenti condivisi, ha tratto notevole vantaggio da una precedente azione condotta due anni prima, in collaborazione con il Settore servizi sociali e di cui abbiamo già parlato nel blog.

Il fatto che i due sistemi si fossero confrontati sul concetto di inserimento lavorativo, analizzando insieme il processo, definendo le diverse fasi e concordando cosa avviene nelle fasi in cui si definisce il quadro diagnostico, l’accoglienza dell’utente, la sua valutazione, il percorso per lavorare sull’occupabilità dell’utente e sulla sua occupazione, ha sicuramente agevolato la collaborazione fra gli operatori degli enti. Esisteva un quadro concettuale generale che aiutava tutti i presenti a capirsi e ad intendersi.

E in fase di valutazione dell’azione di sistema ha aiutato a capire come pensare di rapportarsi nei diversi distretti in vista del nuovo piano provinciale con l’obiettivo di valorizzare le specificità di SIL e degli enti accreditati.

L’azione di sistema ha consentito di comprendere chi deve gestire i servizi finalizzati all’occupabilità e chi invece quelli rivolti all’occupazione, in che modo è opportuno collaborare per scambiarsi informazioni sull’utente in carico e in che modo definire chi fa cosa nelle diverse fasi del processo di inserimento lavorativo.

Creare reti e lavorare per l’integrazione è dunque possibile, ma la conoscenza del processo e l’integrazione fra gli attori richiedono uno sguardo strategico e soprattutto un paziente lavoro di manutenzione della rete.

Umberto Ballabio e Sergio Bevilacqua

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blog 9.12.13E’ possibile dar vita ad un servizio di inserimento lavorativo efficace? A Como gli operatori degli enti accreditati per la formazione e il lavoro e gli operatori dei SIL i servizi per l’inserimento lavorativo che rispondono ai piani di zona dicono che è possibile. E lo fanno al termine di un percorso di alcuni mesi che li ha visti coinvolti in un’azione di sistema finanziata dai settori lavoro e  servizi sociali. Due percorsi in parallelo con alcuni momenti di scambio in cui approfondire il processo di presa in carico delle persone disabili per favorirne l’inserimento nel mercato del lavoro.

Cosa è emerso dal lavoro di analisi condotto dai due gruppi e descritto in un articolo pubblicato nella rivista Prospettive Sociali e Sanitarie? Innanzitutto un concetto poco conosciuto sia nelle politiche del lavoro che in quelle sociali. L’inserimento lavorativo può avvenire solo tramite un processo di presa in carico delle persone che prevede momenti diversi fra loro. Ognuno di questi momenti ha una propria autonomia, propri obiettivi. Possiamo parlare di fasi diverse che costituiscono un processo più ampio sapendo che le fasi sono autonome e strettamente connesse fra loro. Entrando nel merito di ogni fase si può capire quali attori svolgono un ruolo primario ed essenziale per la riuscita di questa fase.

Gli operatori hanno descritto le singole fasi analizzando le attività rivolte alle persone prese in carico. Sono state individuate cinque fasi: quadro diagnostico, accoglienza, valutazione, occupabilità, occupazione. Rimandiamo all’articolo per un approfondimento di ogni fase e in questa sede chiediamoci che senso ha avuto dare una formalizzazione al processo di presa in carico?

Perché aiuta chi gestisce la governance del sistema a comprendere com’è articolata e distribuita l’offerta dei servizi nel territorio. Il modello infatti potrebbe fornire ulteriori indicazioni sull’offerta di servizi nei diversi distretti di un territorio provinciale. Aiuta le agenzie a posizionarsi rispetto ad un quadro di offerta relativo all’intero processo di presa in carico del disabile; solitamente il posizionamento è poco preciso perché gli enti dichiarano di occuparsi genericamente di inserimento lavorativo e non di una fase specifica.

Tutto ciò è possibile perché il modello articola il concetto di inserimento lavorativo che non è più associabile ad un’unica attività ma agevola la comprensione della complessità del processo scomposto in fasi che prevedono attività e attori con funzioni diverse fra loro.

Infine consente di  articolare l’idea diffusa tra gli attori delle politiche del lavoro e sociali che prevede una impropria associazione tra il concetto di inserimento lavorativo e quello di occupazione della persona disabile, fornendo una formidabile leva per una crescita culturale degli attori impegnati nell’inserimento lavorativo delle persone disabili. Possiamo quindi dire che il lavoro di formalizzazione del processo di presa in carico aumenta l’efficacia complessiva dei servizi.

Un’ultima constatazione riguarda le politiche attive del lavoro. E’ possibile pensare che la presa in carico di un utente possa essere suddivida in fasi, magari meno complesse, anche nel caso dell’utenza ordinaria e non disabile? Sarebbe interessante dare una risposta al quesito perché questo comporterebbe una ridefinizione dei servizi per l’impiego precisando chi fa cosa nel processo di presa in carico delle persone non occupate. Ma sarà utile ritornare con calma su questo tipo di ragionamento.

Sergio Bevilacqua

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